"Il post Covid-19 invita i sacerdoti a rileggere se stessi"

di Marco Vitale

(pubblicato su "Lazio Sette" di domenica 18 Maggio 2020)


Durante questa pandemia, diverse persone si sono trovate in grandi difficoltà e molte di esse hanno chiesto aiuto ai sacerdoti delle parrocchie. Ciò ha moltiplicato esponenzialmente le relazioni di aiuto che i presbiteri hanno dovuto gestire in questo tempo di crisi. Innanzitutto crisi personale intesa come situazione in cui i propri equilibri tendono ad essere più fragili, anche nei sacerdoti, a causa del repentino cambio delle abitudini di vita, dell’isolamento per il distanziamento sociale, del regime alimentare non sempre equilibrato, dello stile di vita più sedentario, del cambio del modo di «lavorare», della messa in discussione del proprio ruolo, delle «minacce» alla propria autostima, dei timori per la propria salute e per quella dei propri familiari/amici e delle preoccupazioni economiche per la gestione degli immobili parrocchiali.

Davanti alla crisi, anche il sacerdote non può che creare inconsciamente un nuovo equilibrio personale utilizzando le risorse a sua disposizione. E i risultati possibili possono essere solo due: crescita o regressione personale. Tertium non datur.

Per un sacerdote, acquisire capacità di autoconsapevolezza (cosa accade fuori e dentro di me?) e di autoconoscenza (in che modo «collego» le informazioni raccolte?) è quanto mai necessario per gestire in modo efficace (e non semplicemente efficiente) le proprie relazioni.

In particolare, non dobbiamo dimenticare che la maggior parte delle relazioni del prete sono di aiuto e purtroppo, quasi sempre, le relazioni «alla pari» sono piuttosto scarse e ciò incrementa il rischio di burn out.

Desidero fare una breve digressione su un altro tipo di relazione del prete (e non solo di lui): quella con Dio. È interessante notare come in questi mesi la vita spirituale di molti preti abbia preso direzioni opposte: chi ha assunto uno stile di vita monastico-claustrale e chi è caduto in apatia. Sono due facce della stessa medaglia che si chiama resilienza.

Concludo suggerendo a noi preti di creare, nel post Covid-19, occasioni guidate di narrazione e di rilettura del proprio vissuto in un contesto di non giudizio e di ascolto per crescere in modo equilibrato, senza derive «psicologistiche» o «spiritualistiche», nell’arte della relazione con se stesso, con l’altro e con Dio.

Questa pandemia è un’occasione preziosissima, non per ri-niziare «come prima» ma per porsi una domanda fondamentale: cosa desidero? Buon ascolto del tuo corpo, della tua mente e della tua anima.