"State seduti"

(Mt 26,36)

Mattinata di fraternità presbiterale

d. Marco Vitale


Mt 26,36-46

Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: «Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia. Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: «Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole».


Questi versetti del Vangelo di Matteo sono uno dei testi più letti da noi preti. Perché riprenderli in mano anche oggi? La proposta è quella di rileggerli in una chiave di lettura un po’ diversa (e spero interessante) rispetto alla comune lettura che spesso avviene nel contesto liturgico pasquale.


«Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare»

Il primo invito oggi che devi sentirti rivolto, in prima persona, è quello di sederti. Se oggi sei presente a questo momento di fraternità, sicuramente avrai rinunciato a stare altrove, a fare altro magari anche di importante.

Noi preti dobbiamo recuperare questo invito di Gesù ai discepoli!

Innanzitutto dobbiamo imparare a stare.

A stare con il corpo, con il cuore, con la mente, con l’anima lì dove ci troviamo. Spesso mentre parliamo con una persona già stiamo pensando a cosa dire alla riunione che avrà inizio poco dopo. Dobbiamo imparare innanzitutto a stare con noi stessi.

La vita in parrocchia ci rende spesso “operai” efficienti per le cose di Dio. Oggi il Signore ci dice, e ti dice, non di fare ma di stare con te.

Siamo abituati a fare l’esame di coscienza quotidiano (???) ma spesso è una caccia al tesoro ai nostri peccati, più strumentale per la confessione che per rendere lode a Dio per le meraviglie che riesce a compiere in noi e per mezzo nostro. Sarebbe interessante recuperarlo come esame di “consapevolezza” per stare con me stesso.

Per fare questo bisogna avere tempo: cronologico ed emotivo. Fare mille cose in una giornata ci rende preti efficienti…non so se anche efficaci.

È la calma, forse la noia, a renderci creativi anche nel prendere consapevolezza dei nostri carismi e dei nostri limiti.

Oggi hai accolto l’invito a “stare” con te e con i tuoi confratelli: godi di questo tempo e lascia che il Signore si faccia preghiera accanto a te.

È lui che prega con noi e per noi. Ciascuno di noi è invitato semplicemente, nella propria preghiera, ad essergli vicino. Tanti preti fanno fatica con la preghiera personale…si tratta di prospettive.

Ad un giovane prete in crisi ho chiesto se pregasse e lui prontamente mi ha risposto con un elenco: messa, breviario, rosario. Poi gli ho ripetuto la domanda e lui si è messo a sorridere perché non capiva. Alla fine mi ha detto che non aveva mai pregato, mettendosi alla presenza del Signore, dai tempi del Seminario.

“Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte”

Gesù è profondamente triste e ne parla con i suoi discepoli. Anche noi conosciamo bene cosa sia la tristezza! Un’incomprensione con il vescovo, il confratello, con le catechiste, con una parrocchiana…

C’è sola una cosa peggiore della tristezza in sé: il non ammetterla!

La tristezza, cosi come tutte le emozioni, è assimilabile ad una infiltrazione d’acqua che si insinua anche a molta distanza di dove è il problema originale e tutto fa marcire.

La tristezza di Gesù cosi profonda che gli fa anticipare già l’angoscia della morte e raggiunge la sua anima.

Con le emozioni non si scherza perché ci penetrano nel corpo e nell’anima.

In queste ore di riflessione prova ad accendere la luce sulle tue emozioni. Noi preti spesso sembriamo (???) anaffettivi e poi che succede? Ci chiudiamo in noi stessi, evitiamo di relazionarci, ci attacchiamo alla carriera, ai soldi, al frigorifero, al computer…

Cosa so dire delle emozioni che vivo? Della mia rabbia, del mio amore, della mia frustrazione? Come le scarico?

Gesù ne parla con i suoi discepoli e condivide tutta la sua angoscia. Noi preti spesso siamo stati educati ad ascoltare molto e a parlare poco. Se fino a 50 anni fa questo atteggiamento poteva funzionare, oggi non funziona più. Tutto intorno a noi corre più veloce di noi: le persone possono sapere, nelle loro case, ciò che noi diciamo nell’omelia prima ancora di finirla!

Una volta i 9 anni del parroco erano appena sufficienti per conoscere una parrocchia mentre oggi, almeno nelle grandi città, 9 anni sono lunghissimi perché tutta la vita corre più veloce.

Gesù, della sua tristezza, ne parla con i suoi discepoli, i suoi amici.

Domandati: con chi ne parlo io?

Le nostre agende, di carta o elettroniche, sembrano quelle di un manager incallito ma alla fine della giornata andiamo a letto con le nostre gioie e i nostri dolori soffiati da una cena neppure troppo equilibrata.

Alcune indagini dicono che la prima cosa, da cui un prete stacca, sia il breviario, poi la preghiera ed infine il padre spirituale. In questo contesto il presbiterio viene visto come l’insieme dei colleghi.

Se non viviamo la gioia delle essere presbiterio soffocheremo nelle nostre frustrazioni.

Ecco allora che ritrovarsi tra preti per pregare e per parlare di se stesso è un dono di Dio prezioso.

Basta col parlare delle unità pastorali, del vescovo, dei preti giovani o anziani, di quante prime comunioni celebriamo all’anno… devo imparare a parlare di me stesso.

Non sempre è facile ma devo cercare strade per riuscirci: il padre spirituale, lo psicologo, il formatore…

Il tempo del seminario, con tutte le sue cose belle, credo che troppo spessi lasci ai preti una sindrome: quella di pensare di doversi presentare perfetti per non subire conseguenze. Bilanci parrocchiali perfetti (???), nessuna malattia, nessuna amicizia fuori dalla parrocchia, colloquio annuale con il vescovo…

Dopo diventati preti, tranne rarissimi casi, c’è sola una cosa che può toglierci il nostro amato sacerdozio: la nostra incuria verso noi stessi. Conosco parroci che da 20 anni copiano e incollano il calendario delle attività pastorali aggiornando semplicemente le date di anno in anno!


«Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!»

Gesù ha un desiderio: non bere quel calice! Da quanto tempo non ti dici i tuoi desideri? Perché? Da quanto tempo non racconti i tuoi desideri a qualcuno? Perché?

I desideri sono il motore delle nostre scelte e le scelte diventano ciò che concretizza la nostra vita.

Ciò che sono oggi credo davvero che sia colpa/merito solo di Dio, del vescovo, della casualità, dei parrocchiani? In ciò che oggi ciascuno di noi è ci sono tutti i suoi desideri: alcuni realizzati ed altri frustrati.

Come posso riuscire ad accogliere la volontà di Dio se non conosco neppure la mia volontà/desiderio?

In realtà, desideri -ringraziando il Signore- ce li abbiamo tutti ma per paura di non saperli gestire o perché li reputiamo non all’altezza della nostra immagine, li chiudiamo in qualche angolo buio della nostra esistenza. Occhio non vede, cuore non duole! Nulla di più falso: più i desideri sono accantonati più diventano potenti.

Anche compiere la volontà di Dio, in fondo, è un desiderio.

Parlare anche dei propri desideri con qualche prete amico e stimato è gratificante e, in certi casi, terapeutico: guarisce le ferite del nostro cuore! L’altro prete è un mio pari e se mi confido con lui allora ho messo in gioco anche un po della mia autostima e questo mi fa crescere umanamente e spiritualmente.


Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: «Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole».


Il sonno, specialmente quello pesante e improvviso, nella Scrittura ha sempre un significato anche simbolico. Davanti alle proposte di Dio per noi scomode ci “addormentiamo” improvvisamente.

Rischiamo di trascorrere anni a “dormire” perché si è “sempre fatto così” e quindi non conviene cambiare gli equilibri.

“Vegliate e pregate” è un duplice invito simile alle due facce della stessa medaglia. Vegliare sui nostri valori proclamati e vissuti, sui nostri bisogni più o meno nobili, sui nostri desideri più o meno accettati. Ma anche pregare come occasione per essere accanto al Signore e gioire della sua presenza.

L’alternativa alla veglia e alla preghiera è la caduta nella tentazione perché lo spirito è forte (forse!) ma la carne è debole.

Quasi sempre questa affermazione del vangelo viene presentata in chiave moralistica e ci spezza le ali prima ancora di provare a lanciarci in volo.

La carne è debole, divinamente debole perché -tranne problemi particolari- è quella che il Signore ci ha donato. Ed è nella sua debolezza che ci permette di far risplendere tutta la bellezza e l’amore di Dio.

Noi preti, generalmente, dovremmo prenderci più cura del nostro corpo: il mangiare sano, il dormire il giusto, l’igiene personale, la prevenzione delle malattie, il vestirci in modo decoroso. Dovremmo avere anche più cura del nostro cuore: volerci bene con i nostri limiti e i nostri pregi, volere il bene del confratello, il riconoscere i sentimenti che abitano la nostra affettività più o meno ordinata…


Un’esperienza

In alcune diocesi e congregazioni religiose, sta nascendo -da qualche anno- l’esperienza della supervisione in gruppo.

Cinque, sei preti -che si scelgono spontaneamente- guidati da un esperto si incontrano mensilmente per un confronto guidato sulle vicende più profonde che hanno vissuto. I pensieri allora prendono la forma delle parole e dopo essere uscite dalla bocca, tornano in modo tutto speciale, dentro al proprio cuore e il cuore degli altri partecipanti al gruppo. Si crea così una dinamica umana e spirituale di crescita profonda e liberante.

Si impara cosi non a fare grandi discorsi ma a vedere come ciascuno di noi funziona realmente con i propri valori, desideri, bisogni ed immagini di Dio.

A volte condividono, durante l’anno, anche qualche esperienza di vacanza per apprezzare di nuovo la bellezza di sapersi divertire in modo sano.

(per leggere qualcosa in più sul tema: http://www.settimananews.it/ministeri-carismi/preti-conoscenza-di-se-e-supervisione/)





Per la riflessione personale

Cosa ho provato nel leggere queste pagine?

Su cosa mi sono sentito più toccato?

Che cosa mi ha colpito positivamente?


Per la condivisione in gruppo

In riferimento a queste pagine, cosa -di mio- mi sento di condividere ora con i miei confratelli?

Cosa vorrei chiedere, a qualcuno dei presenti, che lo riguardi? Perché?

Idee, impressioni, proposte…